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La Gravina e la Murgia

Questa zona del sud può offrire al visitatore nuove ed inattese occasioni per entrare in contatto con l’ambiente, la natura, la storia e le tradizioni.
Un territorio che l’uomo ha sempre abitato ed attraversato, lasciando evidenti segni del suo passaggio e dei suoi siti stanziali, dal paleolitico al neolitico, fino ai giorni nostri.

La Gravina è un profondo burrone, un canyon lungo diversi chilometri percorso da un torrente. Le città di Matera si è sviluppata lungo i dirupi di questa Gravina, come diremo nelle pagine successive, dando vita al vasto tessuto urbano dei Sassi e della Civita. Il termine “gravina” deriva da grab (accadico-sumerico > fenicio > ecc. = fossa, scavare, incidere, da cui: grafos, graffiare, graben = tombe, gravure = incisione).

Con un facile sentiero che scende da porta Pistola, nei pressi del convento di S. Lucia alla Civita, è possibile raggiungere la più importante riserva d’acqua dei tempi antichi, cioè il  laghetto di acqua perenne detto lo Jurio, alimentato dal  torrente Jesce, con piccole cascate, durante le piogge.
Matera, Gravina, Laterza, Ginosa, Palagianello, Mottola fino a giungere a Massafra sono caratterizzate da un motivo comune di insediamento urbano in grotte ancorate sui scoscesi dirupi della Gravina, è la cosiddetta Civiltà Rupestre.

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Con il monachesimo eremitico del Medioevo si è sviluppato il fenomeno delle chiese rupestri, nelle grotte a ridosso della Gravina ed in valloni aspri ed isolati.
La Murgia (dal latino murex: roccia, pietra, da cui muro, muretto a secco) è un altopiano calcareo che si estende dal Salento fino a Matera, di natura carsica, con fauna e flora tipiche.

Grotte, chiese rupestri e villaggi neolitici sono il segno della presenza ininterrotta dell’uomo in questo habitat, prima raccoglitore, poi pastore e agricoltore.La presenza ininterrotta dell’uomo in quest’area è testimoniata da decine di villaggi neolitici, ricchi di tombe e cisterne per la conservazione dell’acqua e derrate varie.

Questo territorio è molto povero di risorse, ma, nel corso dei millenni, è stato sapientemente sfruttato dall’uomo, il quale ha saputo ricavarne sostentamento coltivando, nei piccoli valloni e pianori, ulivi, mandorli e fichi.
A testimoniare l’allevamento del bestiame e l’industria armentizia del passato, per la presenza di pascoli, si incontrano numerose masserie con gli ovili, detti jazzi.

Pochissimi sono i boschi, dei quali residuano alcuni con esemplari di olmo, quercia  ed acero. E’ ricca di macchie di lentisco, quercia spinosa, pruni, pere ed olivi selvatici. Fra i massi e le pietre spuntano numerose erbe, fra cui la salvia, il timo, gli asfodeli ed il finocchio selvatico.

*Foto di Marco De Lucia